di Claudia Viggiani

Sono appoggiata al muro del palazzo all’angolo tra via degli Orfani e via dei Pastini e osservo il viavai di persone che passeggiano in questo crocicchio di piccole vie che conducono al Pantheon.
Ovunque ci sono gruppi di due o più persone che vanno in ogni direzione ma che prevalentemente si dirigono verso quello che è probabilmente, dopo il Colosseo, il monumento più amato a Roma.
L’area in cui si trova il Pantheon era un tempo sopraelevata. Il monumento sorgeva su un alto basamento con gradini posti in corrispondenza della facciata che dava su un ampio cortile porticato, delle dimensioni di piazza della Rotonda.

Quanti turisti, non riesco a contarli. Ci provo ripetutamente ma perdo il conto quando sopraggiungono altri gruppi.
Ad occhio e croce ci saranno centinaia di persone che camminano, incrociando il loro percorso. Alcuni neanche si guardano, altri si squadrano, si studiano. Secondo me si domandano da dove vengono. Ci sono americani, cinesi, coreani, spagnoli, sudamericani e tanti italiani.
Ho appena sentito un francese che diceva alla moglie “troppa confusione, andiamo altrove”; ce l’aveva con la Tazza d’Oro, la famosa caffetteria alle mie spalle, sempre piena di clienti.
Bello il Pantheon con i colori così caldi e le giganti colonne del pronao. Quale grande architetto può aver progettato un monumento così imponente, elegante, dalle proporzioni maestose e con un buco al centro della cupola? Forse Adriano, l’imperatore che lo fece ricostruire nel II secolo?
Socchiudo gli occhi e penso alla decorazione all’interno, interamente rivestito di opus sectile, di marmi policromi che lo abbelliscono in maniera sorprendente. Chi entra senza sapere quanto sia bella la grande aula, ne rimane sbalordito: una volta ho visto un giovane signore perdere i sensi, mentre si girava velocemente per ammirare la superficie marmorea, il pavimento con i fori per raccogliere l’acqua piovana e le nicchie che si aprono sulle pareti, piene di statue. Credevo scherzasse, invece è caduto a terra dicendo “mi gira la testa”, per le meraviglie, ho pensato  io.

Il Pantheon sorge su un tempio primitivo fatto costruire nel 27 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto, per accogliere le 12 massime divinità Romane.  “Pantheon” è una parola latina che deriva dal greco πάνϑεον e vuol dire  proprio «[tempio] di tutti gli dei».
Fu restaurato prima da Domiziano e, dopo l’incendio dell’80, altre volte fino alla ricostruzione di Adriano nelle forme attuali che dovrebbero ricalcare quelle originarie.
È arrivato a noi solo perché nel VII secolo il crudele imperatore Foca lo donò a papà Bonifacio IV, che lo trasformò in chiesa dedicandola alla Madonna e a tutti i martiri.
Raffaello Sanzio lo fece poi restaurare, pagando una cifra enorme, ma almeno ottenne in cambio il privilegio di esservi sepolto all’interno.

Smetto di ragionare, lascio il mio angolo di muro e mi incammino verso l’ingresso, circondata da persone di ogni nazionalità; mi sento cittadina del mondo. Sono romana a Roma, tra centinaia e centinaia di stranieri.
Che bello.
Entro nel Pantheon, mi guardo intorno per incamerare la mia dose di bellezza quotidiana. Mi dirigo verso la tomba di Raffaello che ha fatto tanto per Roma, abbellendola con le sue opere e finanziando il restauro conservativo di questo gioiello di architettura. Era un grande uomo, giovane e promettente pittore, morto prematuramente.
Un artista immenso, per la grazia e l’infaticabile dedizione al suo lavoro.
Vado via sorridendo e pensando che per essere grandi e immortali bisogna essere molto generosi.