di Claudia Viggiani

Nonostante le poche opere giunte sino a noi, Giotto fu senza dubbio presente a più riprese a Roma che, dalla seconda metà del Duecento, era una città in pieno fermento politico-culturale volto a riaffermare la centralità del potere temporale del papato attraverso il rinnovamento, anche sul piano figurativo, dei luoghi più significativi della religiosità medievale.
Giotto era stato preceduto a Roma dal suo grande concittadino Cimabue, documentato nella città papale nel 1272 e a sua volta preceduto da un altro pittore toscano, Giunta Pisano, attivo nei decenni centrali del Duecento.
A partire dal 1280 nell’Urbe lavorò per circa un ventennio il grande scultore e architetto fiorentino Arnolfo di Cambio, la cui opera tanta parte ebbe nella formazione di Giotto.

Giotto

Parri Spinelli, copia della Navicella di Giotto, 1520, Metropolitan Museum of Art, New York

I viaggi presumibilmente compiuti dall’artista alla fine del secolo furono almeno due, uno dei quali molto probabilmente in occasione dei grandi lavori promossi per il Giubileo indetto nel 1300 da papa Bonifacio VIII Caetani. Un dipinto, in passato ritenuto di Giotto, realizzato per la loggia delle Benedizioni ed ora conservato nella basilica lateranense, faceva parte di un ciclo di affreschi che, con ogni probabilità, doveva raffigurare la presa di possesso del Laterano da parte del pontefice.
Un altro soggiorno romano di Giotto è documentato intorno al 1313, anno in cui l’artista incarica un suo uomo di fiducia, Benedetto di Pace, di recuperare biancheria e masserizie da lui lasciate presso Filippa di Rieti, sua padrona di casa a Roma.
In una data imprecisata, che oscilla dal 1300 agli anni venti dello stesso secolo, Giotto realizzò il cartone per l’imponente mosaico della Navicella, commissionatogli dal cardinale Jacopo Stefaneschi, arciprete e munifico benefattore della basilica vaticana. L’opera è ricordata nel necrologio del prelato, presente nel cosiddetto Liber benefactorum della basilica di San Pietro in Vaticano, insieme ad altre due imprese compiute sempre da Giotto: la decorazione a fresco dell’abside, e il Trittico Stefaneschi, forse destinato all’altare maggiore, ora nella Pinacoteca vaticana.
Importanti opere portate a termine da artisti presenti a Roma tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, documentano la grandezza del papato e l’ambiente culturale nel quale operò il Maestro toscano. Particolarmente significativi sono i cicli musivi, realizzati durante il pontificato Caetani, in Santa Maria in Trastevere da Pietro Cavallini – che lavorò anche in Santa Cecilia in Trastevere e in San Paolo fuori le mura – e, in Santa Maria Maggiore, da Jacopo Torriti, che fu l’artista che raccolse le più prestigiose committenze dell’ultimo decennio del secolo volute dal primo papa francescano, Niccolò IV (1288-1292). Nella stessa basilica mariana dell’Esquilino Filippo Rusuti, attivo a Roma nei medesimi anni, firmò il mosaico della facciata. Papa Caetani ordinò anche ad Arnolfo di Cambio che già aveva concluso i cibori in San Paolo fuori le mura e Santa Cecilia in Trastevere, la costruzione del proprio sacello funebre, da addossare alla controfacciata della basilica vaticana.
Nel primo decennio del Trecento, con il trasferimento della corte papale ad Avignone, in Francia, si ebbe la diaspora dei maggiori artisti attivi a Roma. Il conseguente allentarsi dei rapporti tra la città papale e le zone periferiche della regione, in particolare le aree confinanti con la Toscana e l’Umbria, contribuì a determinare le condizioni per la diffusione di un nuovo orientamento pittorico che, nel viterbese, fu introdotto dai pittori itineranti toscani Gregorio e Donato Bonavere di Arezzo, attivi tra il 1315 e il 1320 in vari centri tra i quali Montefiascone, Tuscania, Bracciano e Viterbo dove sarà attivo anche Matteo Giovannetti, la cui carriera artistica culminò nella decorazione del Palazzo dei Papi in Avignone.
Per quanto riguarda altri territori del nord del Lazio, va ricordato che, a pochi anni dalla chiusura del cantiere di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, un anonimo pittore umbro, di grande qualità, ripropose i temi iconografici del ciclo giottesco sulle pareti dell’abside della Chiesa di San Francesco a Rieti, ora conservato in parti staccate nel locale Museo Diocesano.
Ma tracce evidenti della diffusione delle novità giottesche son presenti in molti altri centri della regione. Ad Anagni, per esempio, dove nella cripta del duomo, accanto allo splendido ciclo di affreschi della prima metà del Duecento con Storie bibliche, si può osservare una lunetta affrescata raffigurante Pietro d’Anagni in trono tra due sante.

Giotto

Grotta del Presepe, Greccio

Al confine tra Lazio e Umbria, nell’Alta Sabina, luogo di intensa spiritualità francescana, si trova la cosiddetta Valle Santa reatina, ricca di insediamenti dell’Ordine: Greccio, soprattutto, luogo della prima “rappresentazione” del Presepe, resa immortale dall’affresco di Giotto nella Basilica superiore di Assisi e il Santuario di Santa Maria della Foresta, nella cui chiesetta intitolata a San Fabiano, si conservano degli affreschi databili dopo il 1317, per la presenza dell’immagine di San Ludovico di Tolosa canonizzato in quell’anno e che mostrano legami con i murali assisiati.
Nella chiesa di San Nicola a San Vittore nel Lazio (FR), nella navata centrale si conserva un ampi ciclo con Storie di Santa Margherita databile tra primo e secondo decennio del Trecento, che mostra già echi delle Storie francescane di Assisi.

ANAGNI
Cattedrale di Santa Maria
Nella cripta del duomo, costruito tra il 1077 e il 1104 dal vescovo Pietro dei Principi Longobardi di Salerno, sui resti di una preesistente chiesa paleocristiana dedicata alla Madonna, si conserva un affresco raffigurante il donatore fra due sante datato 1324.
Collocato nell’absidiola della parete destra, il dipinto – di ascendenza giottesco-cavalliniana – mostra San Pietro d’Anagni, personaggio di vasta cultura, nominato vescovo nel 1062 da papa Alessandro II e sepolto nella cripta, seduto in trono con abiti vescovili, mitra e pastorale, nell’atto di benedire con la mano destra.

BOVILLE ERNICA
Chiesa di San Pietro Ispano
Lungo la parete sinistra della chiesa – di origini medievali ma ricostruita tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento – si trova la cappella gentilizia fatta costruire nel Seicento da monsignor Giovanni Battista Simoncelli, protonotaio apostolico e Cameriere segreto di papa Paolo V Borghese.

Giotto

Giotto, Angelo, proveniente dall’antica basilica costantiniana di San Pietro di Roma, Chiesa di San Pietro Ispano,Boville Ernica (Frosinone)

La Cappella Simoncelli fu decorata con alcune opere salvate dalla demolizione della basilica costantiniana di San Pietro, compiuta in quegli anni per ampliare la navata e realizzare la nuova facciata di Carlo Maderno. Tra i doni che il pontefice fece al prelato si annovera il tondo con Angelo, frammento del celebre complesso musivo della Navicella, realizzato da Giotto nel secondo decennio del Trecento. Il mosaico, collocato nella parte alta della parete di fondo della cappella, entro il timpano spezzato, mostra evidenti i caratteri dello stile giottesco mentre nella tecnica esecutiva risulta affine alle opere compiute da Pietro Cavallini e la sua bottega.

BRACCIANO
Chiesa di Santo Stefano
La chiesa, fondata nel XIII secolo e ampliata nel XVII secolo, conserva sul secondo altare a destra, il Trittico del Salvatore, datato 1315 e firmato da Gregorio e Donato, pittori aretini che diffusero il linguaggio giottesco nell’alto Lazio.
Il trittico, bifronte, presenta sul recto Cristo in trono, in atto di benedire con la mano destra mentre con la sinistra mostra il libro sul quale sono i versi Ego sum lux mundi. Gli sportelli laterali raffigurano San Giovanni Battista, con il cartiglio e San Nicola di Bari, in abiti vescovili.
Sul verso, entro una mandorla sorretta da quattro angeli, è dipinta la Vergine assunta e, in basso, il suo sepolcro aperto, ai lati del quale sono inginocchiati San Giovanni, a sinistra, e San Francesco, a destra. Sugli sportelli del verso sono visibili i santi protomartiri Stefano e Lorenzo.

GRECCIO
Santuario del Presepe
A 2 km da Rieti si trova il Santuario dove, secondo la tradizione, san Francesco si recò una prima volta nel 1209, costruendovi una capanna per le sue meditazioni.
I documenti attestano la presenza di Francesco a Greccio dal 1223 al 1226, anno in cui, a soli sei mesi dalla morte, egli partì per Siena senza mai più tornare nella sua amata Valle Reatina.
Nella grotta in cui San Francesco, nella notte di Natale del 1223, rievocò, per la prima volta nella storia del cristianesimo, e con personaggi viventi, la nascita di Gesù a Betlemme, istituendo la tradizione del presepio, fu costruita la Cappella del Presepe, dedicata a Santa Lucia. Sotto la mensa dell’altare si conserva la roccia che, secondo la leggenda, ospitò il simulacro del Bambino durante la rievocazione voluta da Francesco. Fuori dalla cappella sono presenti due affreschi, la Natività di scuola umbro-marchigiana e un San Giovanni Battista.
Nel santuario sono visitabili il refettorio, il dormitorio dei frati e la piccola cella dove il santo riposava, seduto e non disteso, sulla nuda roccia. Nella piccola chiesa dedicata a San Francesco si conservano ancora intatti gli stalli del coro e il supporto girevole per la lanterna del leggio. Sulla parete sinistra si trova un affresco trecentesco con San Francesco e un Angelo che gli annuncia la remissione dei peccati. Nell’oratorio attiguo, sopra l’altare, è collocata la copia trecentesca del ritratto di San Francesco, eseguito, secondo la tradizione nel 1225, un anno prima della sua morte.
Nel bosco, adiacente il convento, trova la grotta dove il santo si ritirò per pregare e dove, nel Trecento fu eretta una cappella, interamente restaurata nel 1948, ornata da un dipinto che riproduce il trapasso del poverello.

ROMA
Pinacoteca Vaticana
Nella Sala I della pinacoteca, inserita nel percorso di visita dei Musei Vaticani, sono esposte la Madonna dei Battuti di Vitale da Bologna, massimo esponente della scuola bolognese del Trecento, la Madonna dell’Umiltà di Francescuccio Ghissi, allievo e collaboratore nelle Marche di Allegretto Nuzi che ha realizzato la Madonna con Bambino fra San Michele e Sant’Orsola. Sono invece del pittore fiorentino, di formazione giottesca, Bernardo Daddi, le otto tavolette con le Storie di Santo Stefano, tratte dalla Legenda aurea di Jacopo da Varazze, raffiguranti la Lapidazione del Santo, l’Apparizione in sogno di San Gamaliele, San Luciano racconta la sua visione a Giovanni, il Ritrovamento dei corpi dei Santi Luciano, Abibo, Nicodemo e Stefano, la Traslazione dei corpi dei due santi a Gerusalemme, la Seconda traslazione a Roma, il Ricongiungimento del corpo di Santo Stefano con quello di San Lorenzo a Roma, i Bisognosi che implorano miracoli sulla tomba dei Santi Lorenzo e Stefano.
Opera tarda del pittore, le tavolette che, molto probabilmente costituivano la predella di un polittico tuttora non identificato, sono datate intorno al 1345.

Giotto

Giotto, Trittico Stefaneschi, 1320 circa, recto, Pinacoteca Vaticana

Al centro della Sala II è collocato il celebre Trittico Stefaneschi, compiuto intorno al 1320 da Giotto, con l’aiuto di alcuni pittori attivi negli stessi anni anche a Napoli.
Il trittico, capolavoro della maturità del Maestro, impegnato tra Firenze, Roma e Napoli, prende il nome dal cardinale Jacopo Caetani degli Stefaneschi, che lo fece eseguire per l’altare maggiore della basilica costantiniana di San Pietro. Dipinto su entrambi i lati per essere visto sia dal sacerdote sia dai fedeli, raffigura, sul lato posteriore, quella rivolta verso l’abside, nello scomparto centrale, Cristo in trono tra Angeli e il cardinale Stefaneschi inginocchiato ai suoi piedi, mentre nella tavola a sinistra è presente la Crocifissione di San Pietro e, in quella a destra, la Decollazione di San Paolo; nella predella, la Madonna con Bambino in trono tra due angeli e i dodici apostoli.

Giotto

Giotto,Trittico Stefaneschi, 1320 circa, recto, Pinacoteca Vaticana

Sul lato anteriore, rivolto verso i fedeli, sono rappresentati, al centro, San Pietro in trono, San Giorgio che presenta il cardinale Stefaneschi, con il modellino del trittico, e un papa, forse Celestino V che presenta un santo vescovo non meglio identificato, con un libro tra le mani; nelle tavole laterali, San Giacomo e San Paolo a sinistra, San Giovanni Evangelista e Sant’Andrea a destra, sormontati da due profeti entro cornici polilobate; infine, sulla predella, della quale rimane solo uno scomparto, sono raffigurati i busti di Santo Stefano, San Luca e San Giacomo minore.
Nella sala – oltre alla Madonna del Magnificat di Bernardo Daddi, il Cristo davanti a Pilato di Pietro Lorenzetti e alcune tavole di Giovanni Baronzio, esponente della cosiddetta scuola riminese, influenzata dalla lezione di Giotto, tra le quali spicca quella raffigurante il San Giovannino e l’arcangelo Uriele, probabile parte di un dossale illustrante le storie del santo – si conserva il Redentore benedicente di Simone Martini, forse la cuspide di un polittico perduto.
L’opera, realizzata tra il 1315 e il 1320, negli anni in cui il pittore senese lavorava alla Maestà del Palazzo Pubblico di Siena, raffigura Cristo a mezzo busto, con la mano destra sollevata nel gesto della benedizione e la sinistra poggiante su un libro, secondo un modello ancora bizantino, ma reso con un linguaggio pienamente senese, sia nell’eleganza del disegno che nella raffinatezza del colore.

Basilica di San Pietro
Nel portico della basilica vaticana, costruito da Carlo Maderno al principio del Seicento, si può vedere – sopra il portale centrale – il mosaico della Navicella, originariamente collocato nell’atrio della basilica costantiniana di San Pietro.
Da un disegno attribuito a Parri Spinelli, pittore aretino morto nel 1453, conservato presso il Metropolitan Museum di New York, apprendiamo che la Navicella commissionata a Giotto dal cardinale Jacopo Stefaneschi al principio del Trecento, raffigurava la barca degli apostoli sospinta dalla tempesta e, ai lati, Cristo che salva Pietro dalle acque, un tratto di costa con una città turrita e un pescatore. Più volte spostato e rimaneggiato, fino al rifacimento totale, il mosaico ebbe la sua collocazione attuale nel 1674. Gli unici frammenti superstiti della superficie musiva originale, conservati uno nelle Grotte Vaticane e l’altro nella Chiesa di San Pietro Ispano a Boville Ernica, in Ciociaria, asportati dalla composizione trecentesca nel 1610 nel corso dei lavori di ricostruzione della basilica vaticana, raffigurano due busti di angeli entro clipei. I due frammenti molto probabilmente dovevano trovarsi nella parte inferiore del mosaico, al di sotto della scena principale raffigurante la barca degli apostoli e ai lati dell’iscrizione.
Al termine della navata centrale della basilica, edificata a partire dal Cinquecento sulla più antica chiesa eretta in epoca costantiniana e distrutta da Donato Bramante per far posto al nuovo edificio, si può vedere la statua bronzea raffigurante San Pietro, opera tardoduecentesca di Arnolfo di Cambio. Seduto su di una cattedra marmorea, realizzata nel 1757, san Pietro è raffigurato vestito con un pallio filosofico, la mano destra levata nell’atto di benedire mentre la sinistra, stretta al petto, impugna le chiavi.
Nell’opera del grande scultore toscano, l’uso sapiente di molteplici forme di correzioni ottiche, si associa al “criterio di visibilità” che testimonia l’inedito tentativo di formulazione secondo la veduta unitaria del rapporto tra spettatore, spazio visivo e l’opera d’arte, in termini che già precorrono la prospettiva quattrocentesca.
Dal presbiterio si può scendere nei sotterranei della basilica, dove sono ancora visibili i resti della muratura della chiesa fondata nel IV secolo dall’imperatore Costantino e dove si conserva il tondo con Angelo, frammento del mosaico della Navicella, realizzato da Giotto nel 1310-1320 circa. La composizione, che ricorda le imagines clipeatae, utilizzate nel mondo romano per tutta la durata dell’impero, mostra l’angelo alato a mezzo busto, con l’aureola, vestito con tunica e toga mentre regge con entrambe le mani una sottile croce. La tecnica esecutiva del mosaico, con la quale è definito il modellato plastico del corpo e la morbida naturalezza delle ali, resa con filari di tessere d’oro alternate ad altre di colore rosso-bruno, è analoga a quella in uso nelle botteghe romane tardoduecentesche. È ipotizzabile che Giotto, dopo aver approntato i cartoni per l’esecuzione del mosaico, ne abbia affidato l’esecuzione a pittori mosaicisti formatisi nella bottega di Pietro Cavallini.
Sempre nelle Grotte vaticane, si conserva lo smembrato monumento funebre di Bonifacio VIII, realizzato da Arnolfo di Cambio negli anni immediatamente successivi all’elezione del pontefice, fra il 1295 e il 1296. Il sepolcro presenta la figura del defunto giacente, adagiato sul catafalco coperto dal lenzuolo riccamente ornato. Sulla parte frontale della cassa si conserva la fascia mosaicata con gli stemmi della famiglia Caetani.
Un busto dello stesso pontefice, anch’esso realizzato da Arnolfo di Cambio, è attualmente conservato nei Palazzi vaticani.

Basilica di San Giovanni in Laterano
Nella basilica lateranense, fondata nel IV secolo dall’imperatore Costantino, si conserva un lacerto di affresco, realizzato da un pittore attivo a Roma alla fine del Duecento ed attribuito in passato a Giotto. Collocato oggi sul primo pilastro della navata intermedia destra, il dipinto proviene dalla distrutta loggia delle benedizioni, costruita in occasione del giubileo del 1300, sul lato settentrionale dell’Aula Concilii del Patriarchìo. Il frammento, che in origine faceva parte di un ciclo pittorico più ampio raffigurante la presa di possesso del Laterano da parte di Bonifacio VIII Caetani, presenta il pontefice, sotto un loggiato, affiancato, a destra, da un chierico con cartiglio sul quale si legge Bonifacius Episcopus, Servus Servorum Dei ad perpetuam rei memoriam e, a sinistra, da Matteo Rosso Orsini, il cardinale che, durante il conclave di Napoli nel 1294, rifiutò per ben due volte la tiara, per poi sostenere con forza la candidatura del futuro papa Caetani. Sulla destra, nascosto dietro alla colonna, è forse Celestino V che, dopo cinque mesi di incertezze e di tormenti, abdicò al pontificato aprendo la strada all’elezione dello stesso Bonifacio VIII.
Nella calotta dell’abside, ricostruita da Francesco Vespignani nel 1883-84, si può vedere la copia del mosaico, realizzato entro il 1291 da Jacopo Torriti e dal frate francescano Jacopo da Camerino.
Nel bellissimo chiostro gotico della basilica, realizzato entro il 1234 dalla bottega dei Vassalletto, si conserva il monumento funebre del notaio pontificio Riccardo degli Annibaldi, morto trentenne nel 1289. L’opera, sebbene in stato frammentario, è considerata uno dei capolavori romani di Arnolfo di Cambio. Dell’opera, posta in origine nella basilica, restano solo il Corteo funebre di religiosi, nel quale le figure sono distaccate e isolate dallo sfondo con decorazione musiva di tipo cosmatesco, e la statua del giacente, adagiata su un sudario.

Basilica di Santa Maria Maggiore
Nel catino absidale della chiesa, una delle quattro basiliche patriarcali di Roma, edificata nel V secolo, dopo il Concilio di Efeso, e dedicata alla Vergine genitrice di Dio, si conserva un mosaico realizzato nel 1295, durante il pontificato di Niccolò IV Masci, da Jacopo Torriti, figura di grande rilievo tra i pittori attivi a Roma alla fine del Duecento.
Il mosaico raffigura, nella conca absidale, l’Incoronazione della Vergine con Cristo che pone sul capo della madre, seduta sullo stesso trono, la corona gemmata. Inseriti in un clipeo con il cielo stellato, il sole e la luna, Cristo e la Vergine sono circondati da angeli adoranti oltre i quali sono schierati, a sinistra, San Pietro, San Paolo, San Francesco d’Assisi e il papa Niccolo IV; a destra, San Giovanni Battista, San Giovanni Evangelista, Sant’Antonio e il cardinale Giacomo Colonna, che finanziò l’opera. Ai loro piedi Torriti collocò un bellissimo paesaggio nilotico, frequentato da pescatori, animali e da putti che veleggiano sul canale alimentato dai quattro fiumi paradisiaci e dall’acqua che fuoriesce dalle anfore delle due figure, di chiara ascendenza classica, collocate alle due estremità.
Nella fascia sottostante, tra le finestre, sono rappresentati i momenti salienti della vita della Vergine: da sinistra, l’Annunciazione, la Natività, la Dormitio Virginis, l’Adorazione dei Magi e la Presentazione al tempio.
Nella parte superiore dell’abside si sviluppa una decorazione a racemi, popolata di colorati uccelli, che parte dalle estremità destra e sinistra della calotta.
La decorazione dell’arcone absidale, rifatto nel XX secolo, vede raffigurati, in alto, al centro, il trono con l’Agnello, ai lati, i simboli degli evangelisti e i sette candelabri dell’Apocalisse; più in basso i ventiquattro Seniori e, nella fascia inferiore, a sinistra, San Girolamo che spiega le scritture e, destra, San Matteo che predica agli ebrei.
Nonostante la costruzione della loggia settecentesca di Ferdinando Fuga la facciata conserva ancora gran parte del mosaico realizzato alla fine del Duecento da Filippo Rusuti, altro grande protagonista, insieme a Torriti e Cavallini, della scena pittorica romana al volgere del nuovo secolo.
La decorazione si svolge su due registri: nella fascia superiore è raffigurato Cristo in trono, entro mandorla, circondato da angeli. Ai suoi lati è una teoria di santi.
Nella fascia inferiore, disposti in riquadri che simulano arazzi, separati da finiti pilastri cosmateschi, è rappresentata la storia della nascita della basilica, dall’Apparizione in sogno di Maria, a Papa Liberio e al patrizio romano Giovanni, ai quali indica il luogo dove erigere la chiesa a lei dedicata, sino al Miracolo del 5 agosto sul colle Esquilino, quando cadde la neve, sulla quale il pontefice tracciò il disegno della nuova chiesa.

Giotto

Arnolfo di Cambio e aiuti, Presepe, Museo della Basilica di Santa Maria Maggiore, Roma

Nel Museo della Basilica si conserva parte di un più articolato gruppo scultoreo realizzato da Arnolfo di Cambio, intorno al 1291, su committenza del primo papa francescano, Niccolò IV Masci (1288-1292) per decorare l’Oratorio del Presepe nel quale, già dall’epoca di papa Teodoro I (642-649), si conservavano le reliquie della mangiatoia e delle fasce di Cristo neonato.
L’apparato decorativo originario, raffigurante la Natività di Cristo, entro una struttura a cappella che ricordava la sacra grotta, fu però manomesso nel corso dei secoli, a cominciare dall’intervento di Domenico Fontana, che nel 1590, per volontà di papa Sisto V Peretti, collocò la struttura sotto l’altare della Cappella Sistina in corso di costruzione. Le sculture di Arnolfo furono così collocate in una nicchia, alle spalle dell’altare della confessione.
Del complesso arnolfiano sono visibili le sculture con San Giuseppe, in piedi appoggiato al suo bastone il Bue, l’Asino e i tre Magi, uno più anziano, inginocchiato, e gli altri due in piedi, realizzate in gran parte ad altorilievo e lavorate solo nella parte in vista, come era nella prassi di Arnolfo. Durante gli studi effettuati in concomitanza con i lavori di restauro portati avanti nel 2005, è emerso che anche la statua raffigurante la Vergine con il Bambino, ritenuta per secoli tardocinquecentesca, fosse in realtà una scultura originale del Presepe di Arnolfo, rilavorata sul lato frontale nel 1590.

Basilica di Santa Cecilia in Trastevere
Nella chiesa, fondata nel IX secolo da papa Pasquale I, su di un edificio preesistente, si conserva il ciborio, realizzato nel 1293 da Arnolfo di Cambio, lo scultore e architetto toscano che, nell’ultimo quarto del secolo, dominò la scena artistica romana dialogando, come in questo caso, fianco a fianco, nello stesso cantiere, con i maggiori pittori suoi contemporanei.
Il ciborio, il secondo compiuto dall’artista a Roma, dopo quello per la basilica di San Paolo fuori le mura, conserva ancora, su plinto di base della colonna anteriore destra, la firma e la data in cui fu realizzato.
Nello stesso anno in cui Arnolfo lavorava al ciborio – caratterizzato da figure massicce che risaltano sulle superfici policrome dello sfondo e da motivi decorativi delle strutture architettoniche – sulla controfacciata della chiesa, oggi coro delle monache, accessibile dal convento, Pietro Cavallini affrescava il Giudizio Universale e, sulle pareti, con l’aiuto di collaboratori, Storie del nuovo e del vecchio testamento.
L’ imponente Giudizio Universale è dominato dalla maestosa immagine di Cristo raffigurato in trono entro una mandorla: intorno a lui la Madonna, il Battista, gli apostoli e una corte di angeli dalle meravigliose ali variopinte. Nonostante l’ adozione da parte del Cavallini di schemi iconografici ancora bizantini, le solenni figure, che si stagliano contro un cielo azzurro e terso, senza tempo, appaiono caratterizzate, oltre che da una particolare attenzione per il colore e da una potenza espressiva di grande spessore drammatico, anche da una monumentalità e da una evidenza plastica di chiara ascendenza classica.

Basilica di Santa Maria in Aracoeli
Nella imponente chiesa eretta dai francescani nel Duecento, si conserva la tomba del cardinale Matteo d’Acquasparta, Generale dei francescani, nipote di Bonifacio VIII, morto nel 1302. Il monumento a baldacchino, collocato nel transetto sinistro, presenta una decorazione pittorica raffigurante la Vergine con il Bambino in trono fra San Matteo e San Francesco e il defunto inginocchiato, attribuita ad un ignoto pittore romano, attivo nei primi anni del Duecento.
Nella Cappella di Santa Rosa da Viterbo, fondata forse dai Capocci, si può ancora vedere il mosaico con la Vergine e il Bambino in trono fra San Francesco e San Giovanni Battista che presentano il donatore, eseguito nel terzo ventennio del Duecento da un pittore vicino a Jacopo Torriti.
Nel braccio destro del transetto, si trova la Cappella probabilmente fondata da Pandolfo Savelli intorno al 1295 e progettata da Arnolfo di Cambio, ingeniosus et subtilissimus magister. Della cappella medievale rimangono solo le tombe dei genitori di papa Onorio IV, Luca Savelli, sulla parete sinistra, e Giovanna Aldobrandeschi, sulla parete opposta. I monumenti funebri, fortemente alterati dalla ristrutturazione settecentesca della cappella, sono attribuibili alla bottega di Arnolfo di Cambio.
Nella nona e ultima cappella della navata sinistra, dedicata a San Pasquale Baylon, si può vedere l’affresco frammentario raffigurante la Vergine con il Bambino fra San Giovanni evangelista e San Giovanni Battista, attribuito, come gli altri lacerti di decorazione pittorica visibili nella parte alta delle pareti, ad un artista stilisticamente vicino ai grandi protagonisti della pittura a Roma tra la fine del Duecento e l’inizio del secolo successivo.

Basilica di San Paolo f.l.m.
Nella basilica di San Paolo, sorta nella prima metà del IV secolo, per volontà dell’imperatore Costantino ed interamente ricostruita dopo l’incendio che nel 1823 la rase al suolo, si può ammirare la prima opera certa realizzata a Roma da Arnolfo di Cambio: il ciborio, miracolosamente scampato all’incendio del ’23. Nonostante la sostituzione delle quattro colonne originarie, irrimediabilmente distrutte dall’alta temperatura causata dall’incendio, il baldacchino è ancora quello eseguito dall’artista toscano nel 1285, in collaborazione con Pietro di Oderisio e su committenza di Bartolomeo, abate del monastero benedettino.

Basilica di Santa Maria in Trastevere
Nella parte inferiore del catino absidale della chiesa fondata nel III secolo da papa Callisto I e rinnovata nel XII secolo sotto papa Innocenzo II, si possono vedere i mosaici con le Storie della Vergine, eseguite da Pietro Cavallini nel 1291, su commissione del cardinale Bertoldo Stefaneschi. Collocate ai lati delle finestre, le scene raffigurano, da sinistra, la Nascita di Maria, l’Annunciazione, la Natività di Cristo, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al tempio e la Dormitio Virginis.
Al di sotto del registro narrativo, al centro dell’abside, si trova il pannello dedicatorio con i santi Pietro e Paolo, il committente inginocchiato ai piedi della Vergine e il Bambino entro tondo.

Chiesa di San Giorgio al Velabro
Nel catino dell’abside della chiesa, fondata nel VII secolo, si trova l’affresco raffigurante Cristo, la Vergine e i Santi Giorgio con il cavallo bianco, Pietro e Sebastiano, che mostra evidenti caratteri del linguaggio pittorico di Pietro Cavallini. Il dipinto fu molto probabilemente eseguito entro il 1296, negli anni in cui era cardinale titolare della chiesa Jacopo Stefaneschi, a cui si attribuisce la committenza.

MONTEFIASCONE
Chiesa di San Flaviano
La chiesa, edificata nel XII secolo, su un edificio più antico, è costituita da due chiese sovrapposte, messe in comunicazione tra loro attraverso un’ampia apertura quadrata.
Forse cappella della non più esistente fortezza imperiale sveva, San Flaviano conserva al suo interno, nella prima campata della navata destra, pitture di ispirazione giottesca raffiguranti, nel registro superiore, la Crocifissione e, nella fascia mediana, tre Storie di San Nicola: il Miracolo della dote delle fanciulle, il Miracolo del salvataggio del fanciullo e il Viaggio dei pellegrini a Mira. I due registri sono separati da una ricca cornice, decorata con fregi vegetali e poliboli mistilinei che incorniciano teste di santi.
Le pitture sono attribuite ad una équipe di artisti, tra i quali i due pittori aretini, Gregorio e Donato, attivi nel Viterbese negli anni compresi tra il 1310 e il 1320.

TUSCANIA
Chiesa di Santa Maria Maggiore
Sull’arcone absidale della chiesa, consacrata nel 1206, è presente un grande affresco trecentesco raffigurante il Giudizio Universale con il donatore Secondiano.
In alto si riconoscono Cristo, entro mandorla, che mostra le ferite provocate dalla crocifissione e gli apostoli seduti e, al di sotto, la croce con i simboli della passione, gli eletti e i dannati. Ai piedi della croce e, in basso, a sinistra è rappresentata la resurrezione dei morti dai sepolcri; in basso, a destra, l’inferno. Sulle pareti laterali, adiacenti l’arcone, sono visibili, a sinistra, la Madonna della cintola con san Tommaso e, a destra, l’Annunciazione e la Natività.
Il dipinto, ben conservato, è attribuito a Gregorio e Donato di Arezzo, pittori che introdussero il linguaggio giottesco assisiate nell’area viterbese.

Chiesa di San Pietro
Nella cripta della chiesa, fondata nell’VIII secolo e ampliata nei secoli successivi, sulla parete a sinistra dell’altare, entro una piccola nicchia, si trova un affresco trecentesco realizzato da Gregorio e Donato d’Arezzo, raffigurante i santi Secondiano, Veriano e Marcelliano, protettori della città di Tuscania, mandati al supplizio intorno alla metà del III secolo d.C.. I tre martiri sono raffigurati stanti, vestiti con abiti eleganti e i libri chiusi nelle mani. Secondiano, giovane patrizio romano, che ricopriva importanti incarichi presso la corte dell’imperatore Decio, è raffigurato al centro mentre regge il vessillo.

Chiesa di San Silvestro
Nella trecentesca chiesa, sulla controfacciata, a destra dell’ingresso, si conserva un affresco con l’Albero della Vita, la cui iconografia è desunta dal Lignum Vitae Christi di San Bonaventura. Al centro è raffigurato Cristo sulla croce, sormontata dal pellicano che, nell’estremo gesto di amore con il quale si lacera il petto per far fuoriuscire il sangue necessario a nutrire i suoi piccoli, simboleggia Cristo stesso che sacrifica per l’umanità.
Dalla croce dipartono dodici bande, o rami, ornate da pampini, con i versi delle strofe componenti il Lignum e illustranti l’origine, la vita, la passione e la glorificazione di Cristo. Nei tondi, o frutti, sono le scritte che illustrano i versetti presenti sulle bande. Ai lati sono presenti, in alto, i due profeti Ezechiele e Daniele con cartigli, al centro, due angeli in volo e, in basso, la Vergine e San Giovanni Evangelista dolenti. Nelle fasce laterali estreme sono infine raffigurati, a sinistra, sant’Agnese e il busto del profeta Isaia; a destra, la Madonna stante con il Bambino e il busto di Mosé.
Il dipinto, molto probabilmente eseguito entro il 1320 da un valido collaboratore del pittore aretino Donato, mostra, nella plastica del corpo di Cristo e nella trasparenza del perizoma che gli avvolge i fianchi, un forte legame con la cultura umbro-toscana di derivazione giottesca.

VITERBO
Chiesa di Santa Maria Nuova
Nella chiesa, eretta nel XII secolo, si può vedere, nella navata destra, un affresco cimabuesco, datato 1293, raffigurante Cristo crocifisso tra la Vergine, San Giovanni Evangelista, San Nicola, un devoto e santa Barbara, aggiunta forse nel Trecento.
Nella navata sinistra, si conserva invece una lunetta con Cristo crocifisso tra la Vergine, San Giovanni Evangelista, Santa Maria Maddalena, San Giovanni Battista e San Giacomo Maggiore attribuito a Matteo Giovannetti e datato intorno al 1340, prima del suo trasferimento ad Avignone, dove è documentato dal 1343.

Chiesa della SS. Trinità o Santuario della Madonna Liberatrice.
Nel transetto destro dell’antica chiesa, che ha assunto le forme attuali nel Settecento, si trova la cappella-santuario della Madonna Liberatrice con l’immagine della Madonna con Bambino, opera dei pittori giotteschi aretini Gregorio e Donato. L’immagine sacra, divenuta oggetto di venerazione in seguito alle preghiere del popolo, che portarono alla cessazione di un uragano scatenatosi a Viterbo nel 1320, fu staccata dal muro nel 1958, restaurata e collocata in una nicchia della parete, decorata da una cornice a fregi d’argento e chiusa da due sportelli coperti in lamina d’argento cesellata.
Gregorio e Donato di Arezzo probabilmente realizzarono anche la Madonna con Bambino in trono e un vescovo offerente, affresco molto rovinato, conservato nel transetto destro, vicino alla Porta dei Morti dell’Abbazia di San Martino al Cimino.

RIETI
Museo Diocesano
Nella Pinacoteca del museo si conservano i frammenti del ciclo pittorico, raffigurante le Storie di San Francesco, staccato nel 1979 dalle pareti dell’abside della chiesa di San Francesco a Rieti e riportato su tele. I dipinti, eseguiti da un anonimo pittore, forse negli anni in cui era vescovo della città Giovanni Muti dei Papazzurri (1302-1337) risultano di grande valore poiché ripropongono vari episodi della vita del santo, modellati sull’esempio delle Storie di San Francesco realizzate da Giotto nella Basilica Superiore di Assisi.
Le sei scene, incorniciate da finte colonne e trabeazioni dipinte, raffigurano il Sogno d’Innocenzo III, il Presepe di Greccio, la Visione del carro di fuoco, la Visione dei troni, la Guarigione del malato di Lerida, la Liberazione dell’eretico Pietro dal Carcere.
Nell’alto fascione geometrico sono incluse le eleganti figure degli Angeli turiferari.

Santuario di Santa Maria della Foresta
Il santuario francescano – celebre per la composizione del Cantico dei Cantici – fu edificato nei pressi dell’abitazione, annessa alla piccola Chiesa di San Fabiano, nella quale, nei mesi di settembre e ottobre 1225, san Francesco dimorò – su pressione del cardinale Ugolino – prima di recarsi a Fonte Colombo dove, per farsi curare la grave malattia agli occhi, subì la cauterizzazione.
La chiesa, forse fondata nell’XI secolo, fu inglobata nella Chiesa di Santa Maria, all’inizio del Trecento quando l’intero complesso subì radicali trasformazioni con la costruzione del convento e del chiostro. All’interno, un tempo totalmente ricoperto da affreschi, si possono vedere, nel catino absidale Cristo in trono benedicente, affiancato da santi, tra i quali Fabiano vescovo, Paolo e Giovanni Evangelista.
Sull’arcone absidale, entro due clipei sono raffigurati, a sinistra, San Paolo e, a destra, presumibilmente, San Pietro. Sotto l’effige di San Paolo, è ritratto, a figura intera, un mutilo San Ludovico da Tolosa; mentre sotto San Pietro, si conserva la Madonna con Bambino in trono. Sulla parete destra, all’angolo con la parete absidale, si riconosce la Presentazione al Tempio. Per la presenza del San Ludovico, gli affreschi eseguiti da un pittore che dimostra di conoscere il ciclo giottesco nella Basilica di Assisi, sono datati dopo il 1317.
Nella piccola chiesa si può ancora vedere la vasca del miracolo dell’uva, dalla quale, grazie a san Francesco, sgorgò un abbondante mosto.

SERMONETA
Castello Caetani
Il Castello, il cui nucleo più antico risale alla prima metà del XIII secolo, fu costruito dagli Annibaldi e, nel 1297, acquistato da Pietro Caetani, conte di Caserta, nipote di papa Bonifacio VIII, che lo fece ingrandire e abbellire con cicli di affreschi.
Nel castello si trovano importanti ma poco noti affreschi trecenteschi staccati, provenienti da Ninfa, suggestivo borgo abbandonato di epoca medievale, già feudo della famiglia Caetani alla quale appartenne papa Bonifacio VIII. Le pitture, raffiguranti Scene del Nuovo Testamento e varie immagini di Santi, mostrano riflessi delle più aggiornate tendenze stilistiche cavalliniane e giottesche tra Roma e Napoli.

SUBIACO
Sacro Speco
La Chiesa superiore del monastero benedettino, costruito a partire dal XII secolo, nel luogo dove san Benedetto si era ritirato a vita eremitica, conserva affreschi trecenteschi, realizzati da pittori di area umbro-senese, fortemente influenzati dal ciclo pittorico con le Storie di San Francesco di Giotto e il ciclo con le Storie della Passione di Pietro Lorenzetti in Assisi.
Realizzati forse dalla bottega di Meo da Siena, molto probabilmente negli anni quaranta del Trecento quando era priore l’abate Bartolomeo II (1318-1343), essi rappresentano – con forte intento didattico e morale – episodi della Vita di Cristo e, nelle vele della volta, con costoloni decorati da fogliami e ventiquattro busti di Profeti e San Giovanni Battista, i Dottori della Chiesa e gli Evangelisti.
Sulla parete sinistra, disposti su tre registri, separati da sottili cornici, sono raffigurati, dal basso verso l’alto e da sinistra verso destra, nel primo registro, il Bacio di Giuda, la Fuga degli Apostoli e, oltre il pulpito, la Flagellazione; nel secondo registro, Cristo davanti a Pilato e l’Andata al Calvario; nel registro più in alto, la Pentecoste.
Sulla parete destra sono riconoscibili, in basso da destra, le Marie al Sepolcro e l’Entrata in Gerusalemme; nel registro mediano, il Noli me tangere e l’Incredulità di San Tommaso e, in alto, l’Ascensione.
Sulla parete di fondo campeggia l’affollata Crocifissione che, nella struttura della composizione, nelle fisionomie dei personaggi e negli elementi decorativi della cornice, ricorda la Crocifissione realizzata da Pietro Lorenzetti nella Chiesa inferiore di Assisi.
Sono probabilmente dello stesso pittore che ha dipinto la prima parte della Chiesa superiore, anche gli affreschi della Scala Santa in particolare la Cavalcata della Morte, sulla destra di chi scende e l’Incontro dei tre vivi e dei tre morti, sulla sinistra. Sulla volta sono dipinti i santi Francesco, Domenico, Bernardo e Agostino, mentre negli spazi lunettati sopra gli archi si riconoscono il Battesimo di Cristo, la Strage degli innocenti e la Fuga in Egitto. Nei sottarchi e sui pilastri sono raffigurati San Giovanni Battista, Sant’Onofrio, Santa Scolastica, Santa Anatolia, Santo Stefano e San Lorenzo.
Nella Cappella della Vergine sono presenti, sulla volta l’Annunciazione, la Presentazione al tempio, l’Incoronazione e la Madonna della Misericordia; sulle pareti, la Natività, l’Adorazione, la Morte e l’Assunzione della Vergine; nell’absidiola, la Crocifissione con la Madonna, San Giovanni, San Placido, San Mauro e San Benedetto; nel catino absidale la Madonna con il Bambino in trono tra angeli e santi; infine, nell’arco soprastante l’absidiola, la Resurrezione dei morti.

SAN VITTORE NEL LAZIO (Frosinone)
Chiesa di San Nicola
La chiesa, risalente all’XI secolo, era originariamente a navata unica, alla quale in seguito fu aggiunta la navata destra, sulla quale spiccano due cicli di affreschi trecenteschi, di chiara matrice giottesca, eseguiti da un pittore attivo tra il Lazio e la Campania.
Sulla parete sono raffigurate entro otto riquadri, su due registri, a sinistra, le Sette opere di misericordia e, in otto pannelli, sempre su due registri, a destra, le Storie di Santa Margherita di Antiochia. Tutte le sedici scenette sono leggibili dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra.
Le Opere di Misericordia sono presenti nel registro superiore con Nutrire gli affamati, Dissetare gli assetati, Cristo benedicente fra due angeli e Visitare gli infermi e, nel registro inferiore, con Vestire gli ignudi, Ospitare i pellegrini, Visitare i carcerati, Seppellire i morti.
Le Storie della santa sono illustrate nel registro superiore, dal quinto riquadro, con Incontro fra Santa Margherita e il governatore pagano, Santa Margherita davanti all’imperatore, Santa Margherita in prigione visitata da un fedele, Flagellazione di Santa Margherita e, nel registro inferiore, con Santa Margherita alza il martello per colpire il demonio, il Diavolo dietro le sbarre della prigione, Santa Margherita nella caldaia bollente, Decapitazione di Santa Margherita e la glorificazione della sua anima portata in cielo dagli angeli.

TIVOLI
Chiesa di Santo Stefano
Alla base del campanile si apre la Cappella Pacifici, adiacente la piccola chiesa di Santo Stefano, affrescata nel Trecento con le Storie di Santo Stefano, tratte dalla Vita fabulosa S. Stefani.
Realizzate da un pittore di formazione romana, le pitture, che mostrano echi stilistici giotteschi, raffigurano sulla parete sinistra, nella lunetta, i genitori di Stefano, Antioco e Perpetua che chiedono a Dio un figlio, il cui arrivo è preannunciato da un angelo che invita loro a chiamarlo Stefano. Nei registri sottostanti, da sinistra a destra, si vedono la balia che culla il diavolo poiché il bambino è stato rapito e portato presso il vescovo Giuliano; la Cerva bianca nutre il neonato, Stefano a scuola dal vescovo Giuliano, Stefano in preghiera fa precipitare l’idolo dalle mura di una città e Stefano resuscita un uomo. Sulla parete destra, nella lunetta è dipinta la Crocifissione, mentre sulla parete di ingresso sono riconoscibili, a sinistra, la Natività e, a destra, la Dormitio Virginis. Nella volta, spartita in quattro vele da fasce cosmatesche, sono infine presenti i quattro simboli degli evangelisti.

Testo tratto da “L’Italia di Giotto. Itinerari giotteschi” di Claudia Viggiani, ed. Gangemi, 2009