di Claudia Viggiani

Il 18 marzo 1518 Michelangelo ricevette una lettera da Bernardo Nicolini, camarlingo, vale a dire tesoriere dell’Arcivescovado di Carrara, sul retro della quale poco dopo appuntò alcune liste di cibo. È ipotizzabile che gli schizzi realizzati dall’artista sul foglio riciclato, si riferiscano più o meno allo stesso periodo di tempo durante il quale Michelangelo si trovava a Pietrasanta, cittadina nella quale era giunto qualche giorno prima per stipulare un contratto con otto scalpellini di Settignano e con Bastiano di Angelo di Benedetto, detto Angelotto, di Azzano, cavatore, per la fornitura di “tutte ed ogni qualità di marmi che vanno nelle facciate della detta chiesa de Santo Lorenzo de Florentia”.
Il foglio, scritto a penna e inchiostro, dovette essere uno dei tanti che l’artista utilizzò per le sue liste della spesa quotidiane; liste che evidentemente poi assegnava a qualcun altro, forse al suo cuoco o comunque a chi doveva preparare i pasti per i suoi diversi collaboratori, quelli in particolare, in questo contesto, rimasti al suo fianco nei tre anni di soggiorno nella cittadina della Versilia dove Michelangelo si stabilì per scegliere il marmo utile al suo lavoro.

Nelle tre note, separate da linee orizzontali, si legge:

Michelangelo Buonarroti, Tre liste di cibi, 1518, Archivio Buonarroti, Firenze

Michelangelo Buonarroti, Tre liste di cibi, 1518, Archivio Buonarroti, Firenze

pani dua
un bochal d[i]vino
una aringa
tortegli

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una [in]salata
quatro pani
u[n] bochal de to[n]do
e u[n] quartuccio di bruscho

u[n] piattello di spinaci
quatro alice tortelli

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sei pani
dua minestre di finochio
una aringa
u[n] bochal di tondo

Gli elenchi si riferiscono chiaramente a pasti essenziali per due, per quattro e per sei persone alle quali viene sempre offerto un panino a testa e del vino, a volte ‘tondo’, cioè rotondo, morbido e, a volte, ‘brusco’, dal gusto invece tendente all’aspro. Il ‘vino tondo’ era servito in un boccale, unità di misura corrispondente a Firenze e in Toscana a litri 1,310; mentre il ‘brusco’ era servito in quantità minore, equivalente ad un quarto del boccale.
Il menu per due persone prevedeva anche un’aringa – presumibilmente salata – molto apprezzata nei secoli passati in quanto pesce economico e ricco dal punto vista nutrizionale, proveniente dall’Atlantico e dal Mare del Nord; e i tortelli versiliesi, detti anche ‘tordelli’, fatti a mano e ripieni di carne.
Nella seconda lista compare pure un piatto di spinaci mentre nel terzo menu sono aggiunge due zuppe di finocchio, un ortaggio particolarmente apprezzato perché ricco di sali minerali, soprattutto potassio, calcio e fosforo, utili per rinforzare le ossa e per prevenire i crampi provocati dalla stanchezza fisica. Insomma una vera e propria dieta indicata per nutrire al meglio e con poca spesa, coloro che dovevano aiutare il maestro nel cavare il marmo e nel fornire una preziosa assistenza durante le fasi del cantiere.
I disegni al lato delle tre liste sono invece da considerarsi solo degli schizzi, appuntati da Michelangelo per fissare sinteticamente l’idea del cibo e per conservare un sommario ricordo di esso attraverso alcune immagini.
La rapida notazione con la quale l’artista cerca di catturare la realtà sembra quasi un esercizio abituale, volto a sviluppare e mantenere agilità e precisione di occhio e di mano e nella necessaria urgenza di disegnare comunque e sempre.

Foto in evidenza
Michelangelo Buonarroti, Tre liste di cibi, 1518, Archivio Buonarroti, Firenze